La piccantezza del peperoncino è dovuta alla presenza di un componente quale la capsaicina, un composto chimico presente in diverse concentrazioni in piante del genere Capsicum.
Infatti è proprio la placenta ad essere ricca del principio che provoca la piccantezza mentre contrariamente a quanto si pensa i semi del peperoncino sono ricoperti solo in superficie dai capsaicinoidi ma internamente ne sono privi.
La modalità di azione del composto è quella di stimolare i recettori VR-1i quali a loro volta attivano la proteina VRL-1 che si attiva, rispettivamente in condizioni di temperatura tra i 43 e i 52 °C, ciò comporta una sensazione di bruciore nella bocca che può essere alleviata bevendo un sorso di latte intero o ingerendo dello zucchero.
Anche masticare del pane aiuta, in quanto rimuove per azione meccanica la capsaicina che non è molto solubile in acqua, quindi bere acqua non aiuta molto.
Capsaicina e capsaicinoidi sono composti incredibilmente stabili e rimangono inalterati per lungo tempo anche dopo cottura o congelamento.
La sensazione di bruciore dovuta alla capsaicina ha una sua scala di misura, la scala di Scoville, dal nome dell’inventore. Al suo livello più basso si colloca l’innocuo e per nulla piccante peperone giallo. In cima alla classifica (oltre un milione di unità di Scoville) invece, troviamo il Naga Jolokia, una varietà di peperoncino indiano conosciuta per essere di gran lunga più piccante di tutto il mondo.